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Il fatto religioso ha sempre opposto una resistenza specifica agli innumerevoli tentativi di «spiegarlo» sino in fondo. Per la sua difficile prensilitŕ, sembra ammettere soltanto approssimazioni parziali, inevitabilmente asintotiche, come testimoniano le discipline votate a individuarne l'origine, a ricostruirne la dinamica storica, a rintracciarne la funzione sociale, a esaminarne con strumenti comparatistici le epifanie cultuali, a indagarne i moventi psichici, a elaborarne il senso filosofico, teologico, antropologico. Il fascio di «luce quanto piů possibile policroma» che Gerardus van der Leeuw getta invece sulla religione respinge in un cono d'ombra i modi consueti di interpretarla. Ad attrarlo sono l'oggetto e il soggetto dell'esperienza religiosa, e la relazione tra loro, perché ciň «che la scienza delle religioni chiama oggetto della religione, č in realtŕ il soggetto della religione stessa». Se «l'uomo religioso desidera una vita piů ricca, piů profonda, piů estesa», ossia «augura a se stesso potenza», van der Leeuw cerca di comprendere quanto avviene nell'esperienza vissuta allo sprigionarsi di quella diversa potenza, che suscita stupore e fa approdare alla fede. Da fenomenologo percorre il varco tra il «caos informe del mondo storico» e la «struttura della figurazione» in cui si inscrivono sacrificio, mito, preghiera, tabů, sacro, rivelazione. Tutte forme che manifestano un'eccedenza rispetto ad altre espressioni umane: «l'uomo vi partecipa, vi agisce, tutto intero».